L’apparecchiatura consisteva quindi in un contenitore in cui era possibile prima fare il vuoto (per eliminare l’atmosfera), poi inserire il forming gas e scaldare. Tali apparecchiature erano presenti in commercio, ma, per ridurre la spesa e, soprattutto, mi sento di dire, per potersi cimentare con fantasia e sofferenza nella realizzazione di un’apparecchiatura propria, Mario Monaco decise di autorealizzare la camera. La gestazione della camera durò quasi un anno e mezzo.
Estraiamo, da Cielosservare n. 26 (febbraio 1985) la descrizione di Mario Monaco del cuore dell’attrezzatura: “…pentola d’acciaio con coperchio a tenuta stagna e una pompa da frigorifero per praticarvi il vuoto…termostato costituito da una resistenza NTC (coefficiente termico negativo) inserita in un ponte di Wien la cui uscita è amplificata da un operazionale μa 741; quest’ultimo, tramite un transistor di potenza, pilota un relè che comanda l’accensione di un fornello elettrico che scalda la pentola. L’operazionale ha un circuito di controreazione che permette di stabilire con un potenziometro l’intervallo di temperatura di intervento del termostato. La temperatura è conosciuta tramite una termocoppia, la cui uscita è fatta tramite un microvoltmetro digitale. Un secondo termostato a dilatazione metallica (ricavato da un boiler in demolizione) sarà messo in serie a quello elettronico in modo da salvaguardare l’apparecchiatura da eventuali blocchi della parte elettronica. Un altro termometro verrà applicato alle pareti esterne della pentola per avere una visione approssimativa ma pronta della temperatura.”
La tecnologia attuale (CCD) non necessita ovviamente di tale attrezzatura, ma, come in altri casi, permette risultati superiori e standardizzati, ma ha fatto perdere quell’aspetto pionieristico e artigianale che contribuiva anch’esso al fascino dell’astrofilia.