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Il 21 dicembre 1986, all'inizio dell'inverno (qualcuno potrebbe obiettare che era ancora autunno in quanto il solstizio d'inverno del 1986 avvenne alle ore 3 e 52 del 22 dicembre) si tenne a La Spezia la prima riunione del Gruppo Ricerche Fotometriche a cui partecipò il G.A.S.
Il Gruppo Ricerche Fotometriche (GRF) nasceva dall'espansione del GruppoToscano Ricerche Fotometriche, fondato da Paolo Andrenelli, fondatore e primo presidente dell'Unione Astrofili  Italiani, autore del libro “L'astronomo dilettante”, scomparso circa un mese prima, e da Matteo Santangelo, giovane astrofilo dell'ILRA, l'Istituto Lucchese per la Ricerca Astronomica.
Il GRF era allora costituito dall'ILRA, dall'Associazione Astrofili Fiorentini, dall'Associazione Astrofili Spezzini, da alcuni astrofili “sciolti” quali Sette di Bologna e Monella di Covo (BG) e dalla new entry Gruppo Astrofili Savonesi.
L'adesione del G.A.S. al GRF era stata promossa da me e Roberto Bracco, in quanto vogliosi di volgere dell'attività scientifica e che, partecipando al 20° Congresso U.A.I. a Grosseto, nel settembre 1986, avevamo conosciuto e ci eravamo “innamorati” di Matteo Santangelo e del suo entusiasmo. Matteo aveva presentato al Congresso una relazione dal titolo “Attività fotometrica dell'oggetto (tipo BL Lacertae) OJ 287”, dimostrando come a livello amatoriale si potesse fare ricerca di ottimo livello anche su oggetti extragalattici (OJ 287 dista da noi oltre 3 miliardi di anni luce!).

Nella riunione Matteo propose 10 oggetti, dai quali furono scelti collegialmente 5 che dovevano costituire il lavoro dei futuri 3-4 anni. In ordine di difficoltà crescente gli oggetti erano: V 1057 Cygni, di cui era stato osservato un outburst nel 1969 associato alla natura di stella in formazione e di cui mancavano osservazioni; IRC 10420 e HWVC, oggetti simili a Eta Carinae e che avrebbero potuto avere un outburst spettacolare; il Perseus Field in cui studiare l'assorbimento interstellare; Eridanus Hot Spot, programma ambizioso che prevedeva di analizzare una zona di cielo che ha le caratteristiche di resto di supernova e in cui indagare se si stanno formando nuove stelle.

Il G.A.S. non ha svolto quasi nessuna attività, a causa del venir meno, in quel periodo, degli Osservatori e anche della riduzione del tempo libero dei soci più attivi.
Il GRF invece proseguì nell'attività, e in particolare il nostro Matteo Santangelo, raggiungendo risultati encomiabili.
A quanto so, uno dei massimi risultati fu, negli anni, ottenuto proprio dalla studio di OJ 287. Questo oggetto risulta oggi essere uno dei buchi neri massivi più grandi che si conoscano, anzi molto probabilmente un buco nero binario, cioè una coppia di buchi neri che ruotano l'uno attorno all'altro. Il modello, elaborato da astronomi finlandesi, spiega gli outburst che si verificano ogni 11-12 anni. Matteo, all'Osservatorio di Capannori, di cui è direttore, ha misurato un “precursor flare”, che sarebbe causato dal passaggio del buco nero secondario in nubi di gas nella corona del disco di accrescimento del buco nero primario. La scoperta gli è valsa anche il diritto a comparire come coautore nell'articolo pubblicato il 10 febbraio 2013 su The Astrophisical Journal, la più autorevole rivista di astrofisica a livello planetario.
Come si legge nell’articolo, un nuovo “precursor flare” si dovrebbe verificare nel dicembre 2020. Se verrà osservato quanto previsto il modello sarà definitivamente confermato, così come l’esistenza dei buchi neri binari.

Considerato ciò e il fatto che ora disponiamo di un pregevole Osservatorio, sarebbe auspicabile che qualche giovane socio, e non solo giovane, si entusiasmasse delle possibilità alla nostra portata e volesse riprendere i fili della matassa. Bisognerebbe certo fare qualche piccolo investimento e ricontattare Matteo, ma credo che lui ne sarebbe disponibile ed entusiasta.

C'è qualcuno che bussa alla porta dell'Osservatorio?
Pubblicato in 30 anni fa

Il 13 0ttobre 1986 può essere considerata la data in cui è stata posta la prima pietra della Stazione Astronomica di Castagnabanca, nel Comune di Pietra Ligure.
Infatti in tale data, presenti i  soci Bezzani, Monaco, Zampedri e lo scrivente, venne completata la cassaforma in legno nella quale sarebbe stata successivamente effettuata la gettata di calcestruzzo costituente la base dell'Osservatorio.
L'Osservatorio avrebbe poi ospitato lo strumento più grande della storia del Gruppo Astrofili, un Newton-Cassegrain di 51 cm di diametro.

La realizzazione della specola, e soprattutto del telescopio, si rivelerà un'opera lunghissima e titanica, probabilmente superiore alle capacità del Gruppo soprattuto in termini di approccio metodologico. Il modus operandi sarà quello dello spirito delle "migliorie alla specola", accettabile per un telescopio di 25 cm di diametro ma che scricchiola quando si deve progettare e realizzare uno strumento di diametro doppio e che quindi ha problematiche comprese tra 4 e 8 volte tanto, considerando che le stesse vanno come minimo come il quadrato del diametro ma più spesso come il cubo.
Le difficoltà da superare saranno molteplici e spesso impervie. Bisogna però riconoscere che la caparbietà e l'impegno dei tre soci  che l'hanno fortemente voluto (Bezzani, Monaco e Zampedri) hanno consentito di raggiungere il risultato di avere un Osservatorio con uno strumento di dimensioni non usuali, ma lo strumento ha probabilmente sofferto l'approccio summenzionato e non ha potuto fornire prestazioni significative.

Oltre a ciò, si sono nel tempo verificate problematiche "politiche". Come si può vedere leggendo i numeri di Cielosservare e di Notizie di Cielosservare tra il 1986 e il 1995, l'articolo apparso a novembre 1986 era firmato bezghimozamp (Bezzani, Ghisolfi, Monaco, Zampedri) e da dicembre in poi i resoconti sarebbero stati firmati bezmozamp. Ciò in quanto alla realizzazione lavorarono essenzialmente solo Bezzani, Monaco e Zampedri; gli altri soci, me compreso, a causa degli impegni e soprattutto della lontananza dell'Osservatorio dal capoluogo non fornirono supporto ai tre. La latitanza continuò anche una volta che l'Osservatorio fu terminato. I tre (mi viene da dire giustamente) si aspettavano una frequentazione, soprattutto da coloro che potevano dare un certo contributo scientifico e tecnico ma (sostanzialmente a causa della distanza, ripeto) ciò non avvenne. Il fatto produsse attriti e incomprensioni, tanto che i costruttori sentirono, a metà degli anni novanta del secolo scorso, la necessità di fondare una nuova associazione, il Gruppo Astrofili Orione di Pietra Ligure. A febbraio 1995 vennero definite le quote di proprietà dell'Osservatorio: il G.A.S. ne possedeva il 4% e le chiavi sarebbero state custodite da un membro della nostra associazione.
Ora l'Osservatorio non esiste più, ma, non solo perché il G.A.S. ne aveva formale comproprietà, in questa rubrica avremo modo di raccontarne sprazzi di storia, come di un figlio lontano e trascurato.

Pubblicato in 30 anni fa

In questi appuntamenti trimestrali di Amarcord si è parlato forse un po’ poco di “Vita di specola”.
“Vita di specola” era una rubrica fissa dei notiziari del G.A.S. e di Cielosservare, in cui Mario Monaco raccontava, fin nei minimi dettagli, le sue realizzazioni, tipicamente elettromeccaniche, che nelle conversazioni  venivano definite “migliorie alla specola”.
Tali migliorie riguardavano non solo le apparecchiature autocostruite, ma anche quelle acquistate finite. L’astrofilo “costruttore-miglioratore”, soprattutto se del secolo scorso, ritiene di apportare sempre miglioramenti!
In realtà le “migliorie alla specola” avevano un andamento simile alla vdrift di un elettrone in un conduttore: l’elettrone si muove con una velocità di circa 1000 Km al secondo, ma va talmente “avanti e indietro” che la sua velocità di trascinamento (vdrift) è di un solo cm al secondo.
Nella specola di Campei era un po’ così: per migliorare un qualcosa se ne peggiorava un altro, poi si rimetteva mano, al che si causava un effetto collaterale, e così via fino a che dopo sforzi immani si progrediva un pochino.
Nell’estate del 1986 numerose furono le “migliorie” messe in atto o avviate: la più gravosa fu probabilmente la sostituzione del movimento meccanico di declinazione con una vite senza fine e ruota dentata, che si “trascinò” per molti mesi fino al raggiungimento del risultato.

Voglio qui parlare però dell’acquisto di un’apparecchiatura estrosa, che molti probabilmente non conosceranno e che fu ovviamente sottoposta a migliorie…
L’apparecchiatura in questione si chiama, o meglio si chiamava, PURUS.
Traggo da Cielosservare n. 40 la descrizione dello stesso: “Il corpo principale consta di una robusta “sveglia” con carica a molla. Esso è montato su un supporto regolabile in azimut con vite micrometrica e può essere messo in orizzontale con bolla sferica incorporata. Dalla “sveglia” emerge un asse polare che è predisposto per compiere un giro in 24 ore. La sua inclinazione secondo la latitudine è pure affidata a una vite micrometrica. Il perno orario viene poi montato un asse di declinazione col principio della montatura tedesca: da una parte l’attacco per la macchina fotografica, dall’altro un contrappeso regolabile. L’asse orario e quello di declinazione sono fissati con viti a pressione, sicché la fotocamera può essere puntata verso qualsiasi regione del cielo. La base dell’apparato è fissata su una robusta base che può ruotare in azimut per la messa in stazione. Il tutto è sostenuto da un robusto cavalletto con tre gambe telescopiche che può essere alzato oltre i 2.10 m da terra.”
Scriveva ancora Mario Monaco: “..all’atto pratico ha denotato parecchie carenze che ne limitano l’impiego e sono implicite nel tipo di meccanica che sottolineo ancora essere a inseguimento senza fotoguida”.
Ed ecco quindi che scattarono le migliorie!
La prima fu la sostituzione del cercatore, in quanto, sempre da Cielosservare n. 40 “Nominalmente è presente un cannocchialino 5x20, il che potrebbe essere sufficiente; ma se lo andiamo a guardare meglio, scopriamo che l’obiettivo è sì Ø 20mm, ma non acromatico e quindi, per eliminare le ovvie aberrazioni cromatiche, è diaframmato a 8 millimetri! Con esso si vedono praticamente le stesse visibili a occhio nudo e forse meno. Il reticolo è poi costituito da due fili di rame in croce che in pratica occultano buona parte del campo.”
La seconda consistette nel rallentare il movimento, perché, si affermava, tendeva ad anticipare leggermente. E come si è agito? “sbilanciando la montatura in modo che l’asse di declinazione penda in senso contrario al moto orario e l’apparecchio forzi un tantino”.

In quel “forzi un tantino” c’è secondo me l’essenza di una parte dell’astrofilia di quegli anni.

Pubblicato in 30 anni fa

Ad aprile 1986 venne effettuata la spedizione a Lampedusa per osservare la cometa Halley.
Fu a mio parere la più variegata e rocambolesca operazione svolta dal Gruppo in tutta la sua storia.
Farò quindi felice un caro socio, che mi sollecita spesso a scrivere resoconti più ampi e dettagliati: questa volta, per tentare di rendere l'atmosfera dell'evento, il resoconto deve essere davvero così. Partiamo quindi dal racconto del viaggio, anzi dei viaggi, in quanto, per esigenze organizzative e di budget, gli 11 partecipanti “sciamano” su Lampedusa con modalità e tempi più svariati.

I primi a partire sono lo scrivente, Roberto Bracco e le due Antonelle, che alle 11 e 42 del 3 aprile 1986 salgono a Savona sul treno con destinazione Palermo. Il progetto originario prevedeva di arrivare in treno a Porto Empedocle alle 17 e 49 del 4 aprile e di prendere il traghetto per Lampedusa alle ore 23 del 4 aprile arrivando quindi a destinazione la mattina del 5, cioè, come scriveva Mario Monaco nel numero 36 di Cielosservare, di “attraversare tutto lo stivale in una fantasmagorica odissea cometaria (km 1710)”. I quattro optano invece, una volta giunti a Palermo in treno, di utilizzare il volo Palermo­-Lampedusa. Giungono così a Lampedusa circa alle 12 del 4 aprile e “sono i primi a calcare l'arido suolo di Lampedusa”.

Alle 12 e 30 del 3 aprile inizia da Pietra Ligure il viaggio in auto di Zampedri con l'auto stracarica di strumenti. Il conducente preleva Riva ad Albissola. Alle 15 si imbarcano a Genova sul traghetto e circa 24 ore dopo la partenza sono a Palermo. Quindi il viaggio fino a Porto Empedocle dove giunge “la sorpresa: la nave non è arrivata perché è rimasta a Lampedusa per mare grosso. Si cerca ora un albergo con garage per mettere al sicuro il prezioso carico di strumenti, ma tutto negativo. Si trova un alberghetto con camera a piano terra e si trasporta la merce... I due giungeranno finalmente a Lampedusa il mattino di domenica 6.”

All'alba del 5 aprile partono gli altri 5, capitanati dal Presidente Mario Monaco e, in auto più taxi più aereo (Genova­Roma, Roma­Palermo, Palermo­Lampedusa) giungono a destinazione circa alle 13.

Nel pomeriggio si decide l'area in cui verranno installati gli strumenti e la sera si va a cena all'Osteria del Vecchio Porto. Credo di non aver più mangiato un pesce migliore di quello, anzi di quelli: la qualità è ottima, nonché la varietà e la quantità, ma c'è chi non è mai sazio (leggi Antonella) e continua a richiedere portate oltre l'esaurimento della disponibilità, tanto che l'oste si vede costretto a proporre due uova!

Rientrando si constata che il seeing non è buono: è presente una, anche spessa, foschia e le luci sono intense.
L'indomani pomeriggio si decide di posizionare gli strumenti, da poco giunti, in località più buia. Viene scelta una radura in prossimità della stazione radar LORAN della NATO, ove si monta anche la tenda. I partecipanti dormono nei tipici damnusi ma, a turno, si rimane in tenda a guardia degli strumenti.

Il giorno successivo, 7 aprile, alle 16 e 45, arrivano due carabinieri che ci traducono in caserma.

Intese le nostre finalità, “ci danno carta bianca, ma anche il garbato consiglio di sloggiare dall'isola al più presto”. Effettivamente si stava profilando uno scenario per noi inconsueto. Come scrive Mario Monaco nell'articolo “Operazione Lampedusa” di Cielosservare n. 38, “Dalla non lontana terra africana, nel Golfo della Sirte, quando credevamo che ogni ostilità fosse spenta, ecco profilarsi la minaccia di una guerra vera e propria. Noi eravamo all'oscuro di tutto, ma non così i militari di stanza alle installazione dell'isola e i carabinieri.... Il sentore che qualcosa di grosso e di terribile stava per succedere, lo abbiamo avuto quando una squadriglia di Hercules (alle ore 9 del giorno 8 aprile, n.d.r.) ha atterrato e ha cominciato a “vomitare” uomini e mezzi della Divisione S. Marco: l'isola era un brulicare di soldati con tuta mimetica, faccia annerita con grasso al nerofumo, e armati di tutto punto.... All'ora fatidica un'imponente flotta di navi con potenti luci era dislocata in direzione della cometa che stava sorgendo dal mare....Noi tutti, presi dai nostri interessi astronomici, proiettati in una terra per noi vergine, non ci potevamo rendere conto di quello che in effetti poteva accadere. All'alba (del 9 aprile, n.d.r.) abbiamo smontato tutto, abbiamo fatto in fretta i bagagli e siamo partiti....Al sabato (12 aprile, n.d.r.) siamo giunti felicemente a casa e decisione più saggia non potevamo prendere poiché, e questo è un “bollettino di guerra” che tutti ormai conoscono, se tardavamo ancora due o tre giorni, potevamo essere coinvolti in una guerricciola che non eravamo andati a cercare. Forse saremmo stati bloccati per parecchi giorni e chissà quale fine avrebbero fatto i nostri preziosi strumenti.”

In effetti l'atmosfera era abbastanza impressionante (quello che a me colpì di più è che sembrava che si volesse militarizzare l'isola nel più breve tempo possibile, tanto che alcuni aerei non atterravano e i soldati venivano paracadutati).

Infatti alcuni giorni dopo la nostra partenza, il 14 aprile, gli Stati Uniti bombardarono la Libia e in particolare la residenza di Gheddafi per rispondere a un attentato del 5 aprile in una discoteca di Berlino frequentata da militari statunitensi. Il giorno successivo, il 15 Aprile, Gheddafi fece lanciare due missili Scud che dovevano colpire proprio la base LORAN presso la quale avevamo sistemato i nostri strumenti: i missili finirono in mare a circa 2 km di distanza dalla base.

E la nostra cometa? Si può dire che furono osservazioni deludenti. Un po' perché la cometa era intrinsecamente poco luminosa, ma soprattutto perché, come già accennato, nonostante un paesaggio brullo, Lampedusa aveva un clima umido, quindi con presenza di foschie. Inoltre l'isola non era buia come ci si aspettava, e contribuì pure all'illuminazione l'apparato militare dislocato.

Auguro miglior fortuna a chi verrà dopo di me, nell'apparizione del 2062.

Pubblicato in 30 anni fa

Trenta anni fa, anzi cinquanta.

Dico questo perché trenta anni orsono, il 25 gennaio del 1986, venne inaugurata la sede di via Milano di cui si è parlato in “autunno 1985” e la cerimonia fu aperta da Mario Monaco con una conversazione intitolata “Venti anni con le stelle”.
La cerimonia fu molto partecipata (circa 50 persone) con presenze per noi importanti: il Prof. Leoni preside del Liceo Scientifico, Bruno Marengo vice sindaco di Savona, l'astrofilo Ellena di Torino in rappresentanza dell'U.A.I, i soci Robitschek di Milano e Marzorati della Brianza.
La conversazione fu seguita da un intervento di Sandro Zappatore, il quale illustrò i programmi scientifici e divulgativi del G.A.S. e consegnò ai dieci alunni delle quinte scientifico più meritevoli del Breve Corso di Astronomia, tenuto dallo stesso Sandro, da me e da Roberto Bracco, un premio simbolico consistente nell'iscrizione al G.A.S. per l'anno 1986.

Ma torniamo alla conversazione e quindi all'assunto “anzi cinquanta”.
La stessa è stata riportata integralmente sul n. 35 di Cielosservare (febbraio 1986) con sottotitolo “Breve storia del Gruppo Astrofili Savonesi narrata da un Socio Fondatore”. Tale relazione, pur “Monacocentrica”, ci permette di avere una preziosa testimonianza dei primi passi del 1966.
Riporta Mario Monaco che “il Gruppo Astrofili Savonesi emise i primi vagiti nel 1966”, quando il Maresciallo Cav. Mario Quadrelli venne trasferito alla Caserma Bligny (dove ora noi abbiamo la nostra sede e il nostro osservatorio!) e appassionato di astronomia, “non si diede pace sino a quando non incontrò un gruppetto di persone che con lui condividessero la passione per l'Astronomia. Trovò Don Silvio Ravera (nostro indimenticato socio, n.d.r), il Prof. Capasso (allora preside dell'Istituto Nautico, n.d.r.) e l'ottico Traldi.”
Riporta ancora Mario Monaco che i quattro si riunirono alcune volte presso la canonica di S. Giuseppe ove Don Silvio era parroco, poi nella sede del Nautico e poi ancora, per intercessione di Don Silvio, nella sede dell'A.V.I.S.
Il nucleo originario si ampliò quando Traldi espose nella vetrina del negozio “Costituendo Gruppo Astrofili Savonesi”. A quel punto giunsero anche Mario Monaco e altri.
Allora il Gruppo si diede una struttura, ritengo, eleggendo Mario Quadrelli quale Presidente e successivamente, il 3 luglio 1969, sette soci fondatori si riunirono dal Notaio e depositarono l'Atto Costitutivo e lo Statuto.

Datare gli avvenimenti di quei primi anni non è comunque facile, anche perché i protagonisti non sono più tra i vivi.
Sicuramente si può affermare che i primi passi come gruppo risalgono al 1966 (quindi cinquanta anni orsono!) e che la costituzione formale è avvenuta il 3 luglio 1969.

Rivolgo un appello a chi fosse a conoscenza di quei primi anni, sia precedenti al 1969, sia immediatamente successivi, a fornire informazioni.
Questo sia perché è importante conoscere meglio possibile la propria storia e sia perché stiamo pensando di creare un evento per il 2019, per festeggiare i 50 anni “ufficiali” del Gruppo, e sarebbe interessante e importante acquisire testimonianze e riscontri.

Pubblicato in 30 anni fa