30 anni fa: estate '86

Scritto da  Valerio Ghisolfi

In questi appuntamenti trimestrali di Amarcord si è parlato forse un po’ poco di “Vita di specola”.
“Vita di specola” era una rubrica fissa dei notiziari del G.A.S. e di Cielosservare, in cui Mario Monaco raccontava, fin nei minimi dettagli, le sue realizzazioni, tipicamente elettromeccaniche, che nelle conversazioni  venivano definite “migliorie alla specola”.
Tali migliorie riguardavano non solo le apparecchiature autocostruite, ma anche quelle acquistate finite. L’astrofilo “costruttore-miglioratore”, soprattutto se del secolo scorso, ritiene di apportare sempre miglioramenti!
In realtà le “migliorie alla specola” avevano un andamento simile alla vdrift di un elettrone in un conduttore: l’elettrone si muove con una velocità di circa 1000 Km al secondo, ma va talmente “avanti e indietro” che la sua velocità di trascinamento (vdrift) è di un solo cm al secondo.
Nella specola di Campei era un po’ così: per migliorare un qualcosa se ne peggiorava un altro, poi si rimetteva mano, al che si causava un effetto collaterale, e così via fino a che dopo sforzi immani si progrediva un pochino.
Nell’estate del 1986 numerose furono le “migliorie” messe in atto o avviate: la più gravosa fu probabilmente la sostituzione del movimento meccanico di declinazione con una vite senza fine e ruota dentata, che si “trascinò” per molti mesi fino al raggiungimento del risultato.

Voglio qui parlare però dell’acquisto di un’apparecchiatura estrosa, che molti probabilmente non conosceranno e che fu ovviamente sottoposta a migliorie…
L’apparecchiatura in questione si chiama, o meglio si chiamava, PURUS.
Traggo da Cielosservare n. 40 la descrizione dello stesso: “Il corpo principale consta di una robusta “sveglia” con carica a molla. Esso è montato su un supporto regolabile in azimut con vite micrometrica e può essere messo in orizzontale con bolla sferica incorporata. Dalla “sveglia” emerge un asse polare che è predisposto per compiere un giro in 24 ore. La sua inclinazione secondo la latitudine è pure affidata a una vite micrometrica. Il perno orario viene poi montato un asse di declinazione col principio della montatura tedesca: da una parte l’attacco per la macchina fotografica, dall’altro un contrappeso regolabile. L’asse orario e quello di declinazione sono fissati con viti a pressione, sicché la fotocamera può essere puntata verso qualsiasi regione del cielo. La base dell’apparato è fissata su una robusta base che può ruotare in azimut per la messa in stazione. Il tutto è sostenuto da un robusto cavalletto con tre gambe telescopiche che può essere alzato oltre i 2.10 m da terra.”
Scriveva ancora Mario Monaco: “..all’atto pratico ha denotato parecchie carenze che ne limitano l’impiego e sono implicite nel tipo di meccanica che sottolineo ancora essere a inseguimento senza fotoguida”.
Ed ecco quindi che scattarono le migliorie!
La prima fu la sostituzione del cercatore, in quanto, sempre da Cielosservare n. 40 “Nominalmente è presente un cannocchialino 5x20, il che potrebbe essere sufficiente; ma se lo andiamo a guardare meglio, scopriamo che l’obiettivo è sì Ø 20mm, ma non acromatico e quindi, per eliminare le ovvie aberrazioni cromatiche, è diaframmato a 8 millimetri! Con esso si vedono praticamente le stesse visibili a occhio nudo e forse meno. Il reticolo è poi costituito da due fili di rame in croce che in pratica occultano buona parte del campo.”
La seconda consistette nel rallentare il movimento, perché, si affermava, tendeva ad anticipare leggermente. E come si è agito? “sbilanciando la montatura in modo che l’asse di declinazione penda in senso contrario al moto orario e l’apparecchio forzi un tantino”.

In quel “forzi un tantino” c’è secondo me l’essenza di una parte dell’astrofilia di quegli anni.