30 anni fa: primavera '86

Scritto da  Valerio Ghisolfi

Ad aprile 1986 venne effettuata la spedizione a Lampedusa per osservare la cometa Halley.
Fu a mio parere la più variegata e rocambolesca operazione svolta dal Gruppo in tutta la sua storia.
Farò quindi felice un caro socio, che mi sollecita spesso a scrivere resoconti più ampi e dettagliati: questa volta, per tentare di rendere l'atmosfera dell'evento, il resoconto deve essere davvero così. Partiamo quindi dal racconto del viaggio, anzi dei viaggi, in quanto, per esigenze organizzative e di budget, gli 11 partecipanti “sciamano” su Lampedusa con modalità e tempi più svariati.

I primi a partire sono lo scrivente, Roberto Bracco e le due Antonelle, che alle 11 e 42 del 3 aprile 1986 salgono a Savona sul treno con destinazione Palermo. Il progetto originario prevedeva di arrivare in treno a Porto Empedocle alle 17 e 49 del 4 aprile e di prendere il traghetto per Lampedusa alle ore 23 del 4 aprile arrivando quindi a destinazione la mattina del 5, cioè, come scriveva Mario Monaco nel numero 36 di Cielosservare, di “attraversare tutto lo stivale in una fantasmagorica odissea cometaria (km 1710)”. I quattro optano invece, una volta giunti a Palermo in treno, di utilizzare il volo Palermo­-Lampedusa. Giungono così a Lampedusa circa alle 12 del 4 aprile e “sono i primi a calcare l'arido suolo di Lampedusa”.

Alle 12 e 30 del 3 aprile inizia da Pietra Ligure il viaggio in auto di Zampedri con l'auto stracarica di strumenti. Il conducente preleva Riva ad Albissola. Alle 15 si imbarcano a Genova sul traghetto e circa 24 ore dopo la partenza sono a Palermo. Quindi il viaggio fino a Porto Empedocle dove giunge “la sorpresa: la nave non è arrivata perché è rimasta a Lampedusa per mare grosso. Si cerca ora un albergo con garage per mettere al sicuro il prezioso carico di strumenti, ma tutto negativo. Si trova un alberghetto con camera a piano terra e si trasporta la merce... I due giungeranno finalmente a Lampedusa il mattino di domenica 6.”

All'alba del 5 aprile partono gli altri 5, capitanati dal Presidente Mario Monaco e, in auto più taxi più aereo (Genova­Roma, Roma­Palermo, Palermo­Lampedusa) giungono a destinazione circa alle 13.

Nel pomeriggio si decide l'area in cui verranno installati gli strumenti e la sera si va a cena all'Osteria del Vecchio Porto. Credo di non aver più mangiato un pesce migliore di quello, anzi di quelli: la qualità è ottima, nonché la varietà e la quantità, ma c'è chi non è mai sazio (leggi Antonella) e continua a richiedere portate oltre l'esaurimento della disponibilità, tanto che l'oste si vede costretto a proporre due uova!

Rientrando si constata che il seeing non è buono: è presente una, anche spessa, foschia e le luci sono intense.
L'indomani pomeriggio si decide di posizionare gli strumenti, da poco giunti, in località più buia. Viene scelta una radura in prossimità della stazione radar LORAN della NATO, ove si monta anche la tenda. I partecipanti dormono nei tipici damnusi ma, a turno, si rimane in tenda a guardia degli strumenti.

Il giorno successivo, 7 aprile, alle 16 e 45, arrivano due carabinieri che ci traducono in caserma.

Intese le nostre finalità, “ci danno carta bianca, ma anche il garbato consiglio di sloggiare dall'isola al più presto”. Effettivamente si stava profilando uno scenario per noi inconsueto. Come scrive Mario Monaco nell'articolo “Operazione Lampedusa” di Cielosservare n. 38, “Dalla non lontana terra africana, nel Golfo della Sirte, quando credevamo che ogni ostilità fosse spenta, ecco profilarsi la minaccia di una guerra vera e propria. Noi eravamo all'oscuro di tutto, ma non così i militari di stanza alle installazione dell'isola e i carabinieri.... Il sentore che qualcosa di grosso e di terribile stava per succedere, lo abbiamo avuto quando una squadriglia di Hercules (alle ore 9 del giorno 8 aprile, n.d.r.) ha atterrato e ha cominciato a “vomitare” uomini e mezzi della Divisione S. Marco: l'isola era un brulicare di soldati con tuta mimetica, faccia annerita con grasso al nerofumo, e armati di tutto punto.... All'ora fatidica un'imponente flotta di navi con potenti luci era dislocata in direzione della cometa che stava sorgendo dal mare....Noi tutti, presi dai nostri interessi astronomici, proiettati in una terra per noi vergine, non ci potevamo rendere conto di quello che in effetti poteva accadere. All'alba (del 9 aprile, n.d.r.) abbiamo smontato tutto, abbiamo fatto in fretta i bagagli e siamo partiti....Al sabato (12 aprile, n.d.r.) siamo giunti felicemente a casa e decisione più saggia non potevamo prendere poiché, e questo è un “bollettino di guerra” che tutti ormai conoscono, se tardavamo ancora due o tre giorni, potevamo essere coinvolti in una guerricciola che non eravamo andati a cercare. Forse saremmo stati bloccati per parecchi giorni e chissà quale fine avrebbero fatto i nostri preziosi strumenti.”

In effetti l'atmosfera era abbastanza impressionante (quello che a me colpì di più è che sembrava che si volesse militarizzare l'isola nel più breve tempo possibile, tanto che alcuni aerei non atterravano e i soldati venivano paracadutati).

Infatti alcuni giorni dopo la nostra partenza, il 14 aprile, gli Stati Uniti bombardarono la Libia e in particolare la residenza di Gheddafi per rispondere a un attentato del 5 aprile in una discoteca di Berlino frequentata da militari statunitensi. Il giorno successivo, il 15 Aprile, Gheddafi fece lanciare due missili Scud che dovevano colpire proprio la base LORAN presso la quale avevamo sistemato i nostri strumenti: i missili finirono in mare a circa 2 km di distanza dalla base.

E la nostra cometa? Si può dire che furono osservazioni deludenti. Un po' perché la cometa era intrinsecamente poco luminosa, ma soprattutto perché, come già accennato, nonostante un paesaggio brullo, Lampedusa aveva un clima umido, quindi con presenza di foschie. Inoltre l'isola non era buia come ci si aspettava, e contribuì pure all'illuminazione l'apparato militare dislocato.

Auguro miglior fortuna a chi verrà dopo di me, nell'apparizione del 2062.